sabato 29 marzo 2008

appuntamento

cari amici,
sono contento di invitarvi mercoledì 2 aprile alle ore 18 in via pradamano, nella sala circoscrizionale presso la scuola media "Fruch", ad un iniziativa in cui saranno presenti alcuni candidati al comune per la sinistra l'arcobaleno. Nell' occasione io e gli altri candidati avremmo piacere di scambiare pareri e ascoltare problemi e soluzioni che voi ci vorrete proporre.
Vi aspetto numerosi, armati del vostro entusiasmo e delle vostre idee!

mercoledì 19 marzo 2008

Un prete e la contestazione studentesca: l'esperienza di Don Milani

“Cosa poteva collegare l'esperienza umana ed intellettuale di un prete con la contestazione studentesca sessantottina?” Mi posi questa domanda un po' di mesi fa, conscio dell'innegabile fascino che il sessantotto esercita sul mio pensiero: avevo appena terminato, su consiglio di un amico, la lettura della “Lettera ad una professoressa”, il capolavoro dei ragazzi di Don Milani. Mi ero appassionato ad una lettura che, in una semplicità disarmante e con una carica euristica notevole, tratta in maniera cosciente e precisa un problema, quello della scuola nell’Italia del dopoguerra.
E' evidente che le opere di un singolo uomo da sole non possono spiegare e determinare le vicende e le aspirazioni, le azioni e le riflessioni di chi ha contribuito al carattere rivoluzionario di quegli anni; le sfumature, le complessità, la poliedricità di interpretazioni sfuggono qualsiasi tentativo di sintesi univoca e onnicomprensiva. Vi furono però esperienze, maturate anticipatamente rispetto al corso di quegli eventi ( Don Milani morì nel 1967), che seppure nate in seno a realtà isolate e decentrate, rivelarono una forza parimenti critica alla stabilità e alla disuguaglianza del sistema sociale di allora. Queste esperienze hanno un riferimento preciso: S. Donato e Barbiana, due minuscoli paesini della provincia fiorentina in cui Don Milani creò la propria scuola. È utile precisare a riguardo che sebbene nei metodi e nei contenuti la scuola che Don Milani creò fosse laica (tanto è vero che dalla parete era stato tolto il crocifisso) le sue radici, la sua maturazione e i suoi fini crescevano nella cultura e nella psicologia di un sacerdote. Era questa innanzitutto una scuola dispensatrice di umanità, laboratorio sperimentale di una forma didattica e pedagogica nuova e particolare, che prevedeva poco tempo libero, lezioni al mattino, al pomeriggio e talvolta anche la sera. Si raggiungevano senza eccessivi lamenti circa 12 ore quotidiane sia nei giorni feriali che nei festivi: nonostante queste fatiche Don Milani non rinunciava a integrare il suo insegnamento con la lettura ai suoi studenti dei giornali, non solo per commentare assieme a loro fatti di attualità e di cronaca, ma soprattutto per stimolare in loro una coscienza e un ragionamento critico.
La scuola era concepita innanzitutto come una forma comunitaria di gestione e trasmissione del sapere, scevra da qualsiasi atteggiamento tradizionalista e repressivo dell'insegnante, deciso nell'educare alla vita. Tale scuola trasmetteva un modello di austerità ben diverso da quello vigente nelle scuole borghesi e cittadine: i ragazzi per esempio erano autorizzati a interrompere il maestro quando lo ritenevano opportuno. Mentre il movimento studentesco incominciava a mal digerire le forme coatte di insegnamento del sistema scolastico italiano, che si basava su una selezione a priori e su metodi obsoleti e coercitivi, Don Milani mostrava invece di riuscire ad elaborare un sistema di riforma dell'insegnamento che capovolgeva la norma italiana anticipando le richieste e le contestazioni degli studenti sessantottini. La sua figura, più che ad un maestro, era paragonabile a quella di un padre che tocca le corde della generosità e della sensibilità dei suoi alunni e li forma meglio rispetto alla scuola normale, ai ricreatori, alle Case del Popolo. Riconosceva il senso di crescita che i figli sapevano trasmettere, in un processo di mutualità e reciprocità non indifferente ai risultati del processo di insegnamento e apprendimento.
In una situazione in cui l'alfabetizzazione era bassissima (in special modo nelle campagne), la povertà culturale si accompagnava ad una situazione quasi fisiologica di sfruttamento ed emarginazione sociale, la selezione di classe portava i figli degli operai e dei contadini a rinunciare alla scuola per lavorare, era urgente che tali poveri si rendessero conto della subalternità della loro condizione di classe. Don Milani invitava perciò questi giovani a non perdere tempo, gli forniva una cultura, li invitava a cercare di non farsi ingannare dai richiami distraenti, dai messaggi accomodanti della televisione, delle mode, dall'integrazione borghese nella forma di un certo interclassismo, a non giustificarsi aggrappandosi a comodi alibi, ma anzi li invitava a prodigarsi nello studio, nella conoscenza, per combattere chi li discriminava e riappropriarsi di una certa coscienza di classe. Riporto qui brevemente un passo delle “Esperienze pastorali”, scritte da Don Milani stesso: “Bisogna ardere dell'ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico ad un livello pari a quello dell'attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”.
Don Milani ha anticipato per più punti il '68. Fondamentale tra questi è stata la considerazione per cui la scuola non è altro dalla società, ma vive in essa, serve ad impostare un corretto approccio alla vita sociale e politica: provocatoriamente, rispetto alla neutralità e all'aridità della scuola italiana dell'epoca, Don Milani affermava la vitalità e la caratura della scuola come laboratorio della politica, della societas. In questo senso operava in maniera complementare con quei giovani dei collettivi studenteschi che fecero esplodere la politica nelle piazze e nelle sedi universitarie, suscitando nei suoi ragazzi l'interesse verso la politica, mettendoli in guardia dalle comode storture e banalizzazioni utilizzate dalle élite e dalle classi dirigenti dell'epoca. La caratura pedagogica della sua scuola coincideva con la missione a cui le sue lezioni e il suo operare si richiamavano continuamente: Don Milani non è un semplice portatore di sapere che in quanto tale istruisce i suoi ragazzi inferendo loro conoscenze e competenze, ma si fa portavoce e interprete del loro modo di pensare ed esprimersi, dà voce agli ultimi, a chi a quel tempo veniva giudicato senza speranza e abbandonato sia dallo Stato sia dalla Chiesa.
“Lettera ad una professoressa” racconta le storie dei ragazzi di Barbiana: è un libro scritto non per gli insegnanti, ma per i genitori, è un invito ad organizzarsi, come si legge dalla prefazione. Il problema che tratta è evidentemente impellente. C'è Sandro, ragazzo di 15 anni, che i professori avevano giudicato un cretino e volevano che ripetesse la prima media per la terza volta; c'è Gianni, ragazzo di 14 anni, che sempre gli stessi professori avevano sentenziato un delinquente e che non sapeva mettere l'acca al verbo avere; poi viene Giancarlo, 15 anni, che si è occupato delle statistiche presenti nel libro, a sua volta era stato sentenziato dai medesimi professori disadatto agli studi ma che a Barbiana ‘carbura bene’. Non solo storie di ragazzi: c'è poi quella maestra che boccia 6 ragazzi, disobbedendo a quella legge che la invita a portarseli dietro per i due anni del primo ciclo: nel frattempo, dopo aver bocciato, ha dovuto correre al mare; c'è poi Pierino, figlio di buona famiglia (mica è figlio di operai o di contadini o di montanari) che non ha bisogno di fare la prima, passa direttamente in seconda, si laureerà a pieni voti e farà l'assistente universitario gratis.
“La scuola è aperta a tutti. Tutti i cittadini hanno diritto a otto anni di scuola. Tutti i cittadini sono eguali” dice l'articolo 34 della Costituzione: è indispensabile offrire a tutti un minimo di cultura, non far ripetere quattro classi due volte ognuna, tanto poi sono i figli dei ricchi ad andare avanti e i poveri a lavorare. La Costituzione è il testo di riferimento per Don Milani e i suoi ragazzi, a cui essi si richiamano non poco nella “Lettera ad una professoressa” quasi per assicurare una difesa giuridica indiscutibile ai torti e alle mancanze che lamentano di subire: i ragazzi esigono il rispetto e l'attuazione dei principi e dei diritti che sono enunciati nel testo costituzionale, lanciano un messaggio che colpisce a fondo la realtà di un Paese che, nonostante si sia dotato di un riferimento essenziale come la Costituzione, ha una scuola che di per sé è incostituzionale. Per due motivi almeno: non assicura a tutti lo stesso avanzamento nel ciclo di studi e, secondo, non offre uno scopo agli studenti. Il maestro è colui che “non ha nessun interesse culturale quando è solo”, non è il ragazzo laureato, onniconoscente, amante dello studio “matto e disperatissimo”, che conosce il latino, la matematica, la grammatica, la pedagogia: è innanzitutto colui che sa infondere nei suoi ragazzi un fine, realmente grande, ovvero dedicarsi al prossimo. Tra l'inizio e l'arrivo c'è un fine più immediato, quello di farsi intendere, saper comunicare e ascoltare, arrivando ad imparare le lingue. Si nota così l'impegno essenziale del maestro; a Don Milani non interessa che i suoi allievi di estrazione sociale inferiore siano formati alla pari di coloro i quali, appartenenti a un'altra classe sociale, competono nel mondo del lavoro attraverso titoli, diplomi, onori e quattrini. Don Milani non vuole questo. Essendo estremamente convinto che la scuola concorra a determinare o a suggellare il futuro di una persona, sa che essa deve garantire gli stimoli, deve creare quell'interesse che permette al giovane di responsabilizzarsi, di divenire in maniera autocosciente padrone della propria vita; questa è la lezione anticlassista di Don Milani: la sua scuola non mira alla conservazione delle conoscenze di una classe, mira invece al progresso delle facoltà intellettive di reazione agli stimoli sociali e comportamentali. Vengono perciò attaccati tutti quei formalismi (il voto, il registro, i libri, i programmi) attraverso cui la cultura borghese esprime la propria logica e la propria impostazione; tali formalismi devono essere invece ricusati dalla cultura subalterna. Egli propone invece nuovi strumenti di natura lessicale, linguistica, logica con cui elaborare una nuova cultura. Non offre perciò vecchi contenuti.
Si spiega così la critica milaniana verso gli intellettuali che, seppur di ispirazione di sinistra o cattolica e quindi teoricamente impegnati a difesa dei più poveri, nascevano e si rivolgevano sempre e solo ai ricchi, e anche con i poveri comunicavano sempre attraverso un linguaggio astruso, incomprensibile, artificiale. L'intellettuale, soprattutto se intende servire il popolo e ringraziarlo della possibilità di essersi dotato di una cultura (un borghese ha potuto studiare grazie anche alle tasse che operai e contadini pagano per lui), non deve creare intorno a sé un muro. Il suo parlare diviene altrimenti un autentico “bla bla bla”, e il suo schierarsi con i poveri viene smascherato come vero e proprio atteggiamento opportunista. Ecco quindi che gli studenti e gli intellettuali che si recavano in “missione” a Barbiana ricevevano un'accoglienza che li metteva alla berlina: essi subivano un vero processo alle intenzioni, venivano accusati di scarsa coerenza personale.
Contro l'intellettualismo e il formalismo acquista grande importanza la meticolosità di cui Don Milani riveste la sua pedagogia: osservare con sguardo critico, fare attenzione ai messaggi che il cinema, la radio e i moderni mezzi di comunicazione di massa propugnano, uso delle parole attento e accurato: nessuna parola deve essere mai superflua, tutte hanno un significato. La pedagogia milaniana ruota proprio attorno alla parola, che diventa (se padroneggiata) strumento di espressione per i subalterni e di superamento del livello sociale. E di contro Don Milani insegnerà ai suoi ragazzi l'arte dello scrivere, in barba a quelle maestre o a quella professoressa che diceva che scrittori si nasce, non si diventa: non scrive bene colui che si esprime in maniera difficile, comprensibile a pochi, fa del periodare contorto la propria bandiera. Bisogna avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti, sapere a chi si scrive e, soprattutto, non porsi limiti di tempo.
L'esperienza e la pratica della scuola di Don Milani proporranno tre riforme affinché l'eguaglianza, tanto conclamata a parole anche dalla Costituzione, non rimanga un mero slogan: non bocciare; dare la scuola a tempo pieno a coloro che sembrano cretini; agli svogliati uno scopo.
Ora, giunti alla fine di questo discorso, tu, lettore, magari ti aspetti da me una risposta alla classica domanda (classica e spontanea quando si discute di un personaggio di una certa caratura): come attualizzare il suo pensiero?
Non è facile trovare una risposta a questa domanda, anche perchè, molto spesso, si rischia di cadere in quegli atteggiamenti intellettualistici tanto disprezzati da don Milani. Ti posso fornire solo qualche spunto che, a mio avviso, può costituire un base di riflessione. Io credo nella Scuola e nell'Università, credo soprattutto che tali istituzioni siano decisive nell'attribuire un senso all' Educazione, all' Integrazione e alla Cittadinanza. La centralità e l'organicità di un sistema di istruzione in un Paese si rilevano in maniera precipua nella sua dinamica politica e sociale, poiché ne imposta criteri di analisi, modelli di sintesi, impianti e riferimenti valoriali. Mi chiedo allora se l' incertezza politica e civile che stiamo vivendo qui in Italia sia figlia di un problema (a questo punto più che contingente), ancora non risolto, ovvero il problema della scuola e dell'università italiane, che continuano a non fornire agli studenti un metodo cognitivo e procedurale di approccio tanto alla conoscenza quanto alla realtà, dimenticando in sostanza lo scopo per cui nacquero nel Medioevo, ovvero essere produttori di cultura. Non si può fare a meno della scuola; insegnare non è perdere tempo; chiunque deve avere la possibilità di esprimersi, anche se non sa come farlo. A coloro che se ne fregano (scusami per la volgarità, ma riporto i pensieri di chi a questa situazione non ci bada affatto) dico solo che è facile sbandierare, per esempio, un' università (o una scuola) innovativa, competitiva, selettiva, piegandosi a chi propugna questo o quell' altro precetto esteriore. Insegnate intanto la coerenza. Lasciate che siano le leggi del sapere a governare nelle facoltà e nelle scuole, insegnate a vivere, non solo ad eseguire. Mettetevi in discussione anche voi, non siate così sicuri perché vestite bene e godete di un titolo.
Non vedi cos'è l'opinione pubblica qui in Italia, che chiarire ai cittadini le questioni fondamentali per il Paese sembra essere l'ultima delle preoccupazioni?

lunedì 10 marzo 2008

Una rapida premessa

Credo che Internet nasconda delle possibilità concrete: non a caso infatti vi sono molti studiosi che hanno incominciato a chiedersi, in un confronto tra new media e media tradizionali, quali siano le coordinate normative su cui si strutturano le scelte degli utenti del web. Se infatti i media tradizionali (televisione, radio, stampa), ancora presenti e con un ruolo assolutamente non trascurabile nello scenario della comunicazione informata, risultano altamente normativi e in grado di istituire letture preferite o preferenziali, su cui si ancora la capacità degli utenti di crearsi rappresentazioni sociali e stabili, i new media, invece, permettono agli individui una maggiore libertà in questo senso, abolendo per esempio distanze, tempi di percorrenza, confini, lasciando al singolo notevole autonomia nel costruirsi un percorso di socializzazione. Ovviamente questo fenomeno non è privo di conseguenze negative, come l'ulteriore livellamento a cui va in contro il linguaggio della comunicazione, insieme ad una sua formalizzazione: acquistano rilievo forme di comunicazione logico-deduttive, in virtù di regole per di più logico-matematiche; perdono senso le forme tradizionali di espressione ambigue, metaforiche, che il linguaggio della rete banalizza o ostacola. Le questioni da affrontare sono molte. Per adesso mi fermo qui; mi interessava solamente chiarire, in maniera comunque un po' sommaria, a chi visiterà questo semplice e banale blog che comunque credo nei rapporti umani, nell'esperienza, nel confronto diretto: molto spesso è troppo facile proteggersi nell'anonimato della rete, poichè si mascherano bene paure, insicurezze, umori, particolarità verificabili in una chiaccherata, in una telefonata, ecc. Visitando tale blog quindi non conoscerete Federico Pirone, ma solo un suo profilo.

Da parte mia avrete la rassicurazione che ciò che da me viene riportato o scritto è in assoluta coerenza con quanto io penso e scrivo, che niente sarà lasciato al caso, e mai immotivato.