martedì 10 giugno 2008

eccomi qua,scusate il ritardo

eccomi qua, dopo quasi due mesi in cui, devo ammetterlo, di cose ne sono cambiate..e parecchie!
ora ho di fronte una grossa responsabilità: ho una gran voglia di dimostrare alla città di Udine che valgo per il ruolo cui sono stato votato, rendendomi a disposizione per quanti di voi abbiano da proporre soluzioni, dispensare consigli o esternare il loro stato di disagio. Credo che le istituzioni, al di là degli obiettivi concreti a cui sono chiamate a rispondere e che spesso assolvono con diligenza e competenza, troppo spesso hanno concretamente tralasciato la funzione per cui sono state create dalle società, ovvero governare e organizzare il cambiamento, per limitarsi semplicemente ad una condizione storica (sociologicamente devastante) di amministrazione, vincolata quindi a meccanismi retroattivi. Dobbiamo invece svestire le istituzioni dal loro tecnicismo pedante e roboante per fare in modo che comprendano quelle dinamiche di prospettiva che governano (con poche soluzioni di discontinuità) l' agire e il pensare degli individui delle società, squarciando quei timidi spazi di democrazia che ancora sopravvivono.

venerdì 18 aprile 2008

teniamo duro: non molliamo

Che dire..non ho proprio parole per esprimere la mia soddisfazione : per una prima esperienza non sono mica male le 100 preferenze che amici e simpatizzanti mi hanno voluto attribuire in questa pazza corsa elettorale. Sarà mio dovere fare in modo che questo appoggio e questo risultato si traducano in serio lavoro, affinchè (come riporto anche nelle pagine di questo bolg) ogni persona acquisisca piena cittadinanza nella propria città, e la viva partecipandovi responsabilmente e attivamente.
Ora non rimane che lavorare per fare in modo che il candidato Honsell diventi il sindaco della nostra città: almeno a Udine la Sinistra potrà dire di aver fatto una discreta figura, nella speranza di assumere quella credibilità e quel ruolo di rappresentanza che storicamente le spetta.

a presto
federico

lunedì 7 aprile 2008

L' Università friulana

Da uno sguardo abbastanza immediato dei dati presentati dal rettore dell' università all'inaugurazione dell'anno accademico lo scorso 14 gennaio, emerge con rilevanza quanto segue.
Per cominciare nell'anno accademico in corso Udine ha raggiunto un primato a livello italiano, aumentando il numero dei suoi immatricolati di 3 mila 420 unità, pari al 6,7% sull'intera popolazione universitaria. A 30 anni dalla sua fondazione l'ateneo friulano conta ben 10 facoltà, 28 dipartimenti, attraverso cui offre ai suoi studenti 44 corsi di laurea triennale, 49 di laurea magistrale, 20 master, 20 corsi di dottorato di ricerca e 32 scuola di specializzazione; come se non bastasse è dotata della scuola di specializzazione all'insegnamento nelle scuola secondarie (la Siss), che, a fronte di una tassa annuale pari a circa 1700 euro e di corsi giudicati snervanti o inutili, permette ai suoi iscritti, a fronte di un certificato di abilitazione all'insegnamento, un più rapido inserimento nel mondo del lavoro. Inutili poiché in tali corsi vengono, a detta degli studenti, affrontati solamente temi altamente circoscritti o vere e proprie monografie che servono più agli insegnanti (visibilità, prestigio) che agli studenti stessi. Per finire l'uiversità friulana, fondata nel 1977 ma attivata dall'anno seguente, si estende dalla sede centrale di Udine a quelle di Gorizia (2000 studenti) e Pordenone (1000) con presenze e iniziative a Cividale, Cormons, Gemona, Gradisca d'Isonzo, Mestre, Tarcento e Tolmezzo. Come capofila del Friuli dell'innovazione l'ateneo gestisce il parco scientifico e tecnologico di Udine, inoltre ha attivato 12 centri interdipartimentali. Attorno a questa Università ruotano circa 20 mila persone, pari a un quinto della popolazione cittadina.

È facile dedurra allora, ragionando in breve su questo quadro come il polo universitario udinese, seppur relativamente giovane, appaia come un centro di notevole interesse innanzitutto provinciale, non trascurando l'importanza che esso assume poi a livello regionale, soprattutto nella concorrenza con Trieste, e a livello sovra-regionale, in sinergia con i progetti relativi all' euroregione più volte sottolineati dallo stesso Illy e dal rettore. Centro di interesse verso cui vengono convogliate attenzioni, pressioni, risorse, ai fini soprattutto di una qualificazione dell'immagine.
Proprio quest’anno Udine ha superato Trieste per quanto riguarda i suoi iscritti. L' università rappresenta per le imprese del territorio, che hanno ormai da tempo avviato con l'ateneo una sorta di businness plan competiton, che trasforma in imprese le idee nate nei laboratori (la business plan è attiva da 5 anni). Si pensi ad innovaction, l'annuale appuntamento con l'innovazione promosso e organizzato dalla Regione con Udine e Gorizia fiere e con l'Università degli studi di Udine. Intesa San Paolo e Cassa di risparmio sostengono la manifestazione in qualità di parter.
La logica dei finanziamenti, direttamente proporzionale al numero di immatricolati (più ce ne sono più fondi statali e non arrivano), rischia di:

-condurre il sistema universitario friulano ad una progressiva implosione, soffocato da una concorrenza che in altre regioni (vedi Veneto per esempio) è sicuramente più agguerrita: il sistema economico su cui l'università intende puntare, ovvero il modello della piccola media impresa, a fronte di processi più vasti e di più ampia portata appare oggi in crisi, non in grado di reggere competitori più potenti. Si rischierebbe allora di “produrre” una sorta di fuga dei cervelli friulani, costretti ad emigrare in cerca di lavoro. Mi chiedo allora quanto friulana, autoctona sia questa Università nata sulle ceneri del terremoto.

-Dequalificare progressivamente l'offerta formativa: 10 facoltà forse per un'università come la nostra appaiono francamente un po'eccessive e immotivate. A ciò si aggiunge un dato, prima non menzionato. Udine è tra i poli universitari italiani tra i messi peggio tra i docenti di ruolo richiesti e quelli che insegnano nei vari corsi. Ad esempi la facoltà di Giurisprudenza dispone di 23 docenti di ruolo, mentre ne richiederebbe 48. Solo le facoltà di Scienze della formazione e di Agraria invece dispongono di docenti di ruolo in numero eccessivo rispetto a quelli richiesti. Certi corsi di laurea terminano con la laurea triennale e non proseguono nella laurea specialistica. A cosa serve tutto ciò? Allo studente no di sicuro.
Cosa può dare allo studente un corso di laurea che termina in tre anni? Quante probabilità di inserimento nel mondo del lavoro?

Senza propagandare slogan elettoralistici chiediamo una radicale revisione dei corsi, e possibilmente chiediamo l'abrogazione dei corsi senza lo sbocco specialistico. Chiediamo poi una forte riduzione degli stessi corsi a fronte di un potenziamento e una concentrazione della “potenza” offermativa. L'Università non deve essere assimilata ad un grande supermercato in cui vi si rova di tutto e di più, in cui la scelta è quanto mai difficile per l'alta specializzazione dei prodotti. Specializzazione non equivale in questo senso a formazione, ma rientra in una logica politica fondata sull'immagine e il mercato.
Il polo friulano deve poi concretamente assumere un atteggiamento realista e razionalista. Ovvero, poiché la maggior parte dei suoi studenti sono friulani, deve REALMENTE valorizzare quelle che sono le peculiarità stabili, attuali e preminenti del suo territorio:

1)il patrimonio linguistico-antropologico-storico e l'importanza del Friuli come ponte (dopo Schengen) verso l'Europo dell'est;

2)cultura della pace, dato il ruolo altamente auspicabile anche dalla stessa Unione europea, della funzione di stimolo della reciproca comprensione linguistica e culturale; inoltre ricordiamo che le culture non sono genericamennte delle entità contenitrici di elementi fissi e immutabili, ma occorre scoprire quali sono i processi evolutivi a cui vanno incontro (capitolo globalizzazione);

3)il rilevante patrimonio scientifico che contraddistingue molti 15enni friulani (indagine Ocse- Pisa del 2006) merita di non essere sprecato: le competenze matematiche molto alte e la facile predisposizione alla lettura dei nostri ragazzi rilevano che il Friuli Venezia Giulia è un terreno buono su cui puntare per la ricerca scientifica, non soltanto per l'innovazione pro impresa;

4)la sperimentabilità del Friuli Venezia Giulia, ovvero la sua collocazione a laboratorio di ricerca, conseguenza della sua recente ascesa rispetto ad altre regioni più storiche, può giocare un ruolo rilevante.

Un modello in questo senso è rappresentato da una sede universitaria come Siena. Tale capoluogo di Provincia è più piccolo di Udine eppure ha saputo sviluppare un'università molto valida e conosciuta a livello nazionale puntanto su poche facoltà ma avvalendosi di eccellenti e preparati professori. Come Siena anche Pisa, per esempio.
A sostegno di questo discorso desidero rilevare una differenza notevole tra polo scientifico e polo umanistico, molto più trascurato. Se evidentemente si ritiene che dedicarsi ad una materia umanistica sia infruttuoso e poco remunerativo per chi amministra l'Università, almeno si fornisca a tali studenti la possibilità di un facile inserimento nel mondo della preparazione all'insegnamento. Se trovare lavoro nel campo industriale per uno studente di lettere risulta improponibile, si faccia comunque in modo che tale laureato non sprechi in toto i suoi anni di studi, ma almeno possa inseguire il sogno della possibilità di far valere il suo titolo di studio.

A conclusione di tale riflessione, desidero spendere due parole di monito. Attenzione che la ricerca a servizio delle imprese NON è VERA RICERCA, ma termina nel momento del concepimentodel brevetto che cristallizza un processo che AVREBBE potuto continuare. La ricerca a servizio delle imprese ha come fine la produzione, non la conoscenza, poiché prima o poi deve fruttare all'interno di un processo produttivo e di mercato. Tale ricerca è brevettazione. Il limite principale di questo approccio, facilmente intuibile del resto, è la sua temporaneità, la sua limitazione temporale, frutto di un'esigenza che è insieme economica e strutturale: cambia il mercato, cambiano le esigenze, e cambia pure la ricerca che diviene instabile e poco redditizia per l'Università. Se si vuole creare un rapporto di colaborazione con le imprese e con il modo del lavoro, tale rapporto deve avvenire secondo una mutua crescita e una mutua corrispondenza.

domenica 6 aprile 2008

chi sono

Sono Federico Pirone e studio nella facoltà di lettere e filosofia all' università di Udine, città in cui sono nato e vivo. Mi riconosco nei valori della Sinistra e quindi nella giustizia, nella trasparenza, nella solidarietà, nell’ attenzione verso tutte le attività attraverso le quali si possono sviluppare la persona umana e la società, con particolare riguardo alla dimensione culturale e alla apertura alla multiculturalità. Sono convinto che la partecipazione alla vita cittadina sia indispensabile per il benessere della comunità: ogni cittadino dovrebbe essere in grado di poter esprimere le proprie esigenze trovando nell' istituzione comunale un interlocutore disponibile e attento. Pertanto ritengo fondamentali:


-La partecipazione a cominciare dai quartieri, anche quelli più periferici che collegano il centro alle zone industriali. I quartieri non vanno intesi come nuclei isolati, ma devono interagire tra loro come realtà dinamiche e necessarie ad una coerente crescita della città. Molti sono privi di strutture e servizi base, come asili nido, scuole materne e primarie, zone verdi e aree pedonali; va inoltre garantito un servizio efficace di trasporto pubblico.


-Difendere la Ztl, ingrandendo le aree pedonali e promuovendo la regolazione di un nuovo piano urbanistico: ciò renderebbe Udine una città realmente a misura d' uomo.


-L' attenzione verso le società sportive dilettantistiche e amatoriali che operano in territorio comunale, affinchè anche nel mondo dello sport, da cui peraltro provengo, si affermi una prospettiva di condivisione e di aggregazione sociale, non esclusivamente competitiva.


-favorire la reciprocità e gli scambi culturali tra la popolazione cittadina e quella migrante, coinvolgendola attivamente nell' organizzazione di eventi ed iniziative. L' integrazione deve trovare un adeguato sostegno nell' amministrazione comunale, aiutata da una seria politica scolastica all' interno dei quartieri e delle preesistenti circoscrizioni.


-incentivare eventi su tematiche attuali e particolarmente sentite (precariato, ambiente, sostenibilità dello sviluppo), con una prospettiva europea ed una vocazione mondiale. Per contrastare la monotonia dei centri commerciali bisogna favorire nuovi spazi di aggregazione sociale, anche a livello di quartiere, in cui le persone possano esprimersi, dibattere, incontrarsi.


-Creare nuove postazioni di internet point a prezzi vantaggiosi, in modo da agevolare la comunicazione tra l' istituzione e il cittadino.


-Il Comune deve farsi carico della manutenzione, della sicurezza e garantire il corretto funzionamento degli apparati tecnici e tecnologici di tutti gli edifici scolastici di sua competenza. Deve essere inoltre costituita per problemi di particolare urgenza una squadra di tecnici ed operatori che possa intervenire in tempi brevi e definiti. Va poi progettato un piano energetico per l’edilizia scolastica che riduca gli sprechi e promuova il risparmio, modernizzando le strutture esistenti.


Federico Pirone,
candidato al Consiglio Comunale per la Sinistra l' Arcobaleno, con Honsell

per contatti:

fede.pirone@libero.it cell: 348 8845603

sabato 29 marzo 2008

appuntamento

cari amici,
sono contento di invitarvi mercoledì 2 aprile alle ore 18 in via pradamano, nella sala circoscrizionale presso la scuola media "Fruch", ad un iniziativa in cui saranno presenti alcuni candidati al comune per la sinistra l'arcobaleno. Nell' occasione io e gli altri candidati avremmo piacere di scambiare pareri e ascoltare problemi e soluzioni che voi ci vorrete proporre.
Vi aspetto numerosi, armati del vostro entusiasmo e delle vostre idee!

mercoledì 19 marzo 2008

Un prete e la contestazione studentesca: l'esperienza di Don Milani

“Cosa poteva collegare l'esperienza umana ed intellettuale di un prete con la contestazione studentesca sessantottina?” Mi posi questa domanda un po' di mesi fa, conscio dell'innegabile fascino che il sessantotto esercita sul mio pensiero: avevo appena terminato, su consiglio di un amico, la lettura della “Lettera ad una professoressa”, il capolavoro dei ragazzi di Don Milani. Mi ero appassionato ad una lettura che, in una semplicità disarmante e con una carica euristica notevole, tratta in maniera cosciente e precisa un problema, quello della scuola nell’Italia del dopoguerra.
E' evidente che le opere di un singolo uomo da sole non possono spiegare e determinare le vicende e le aspirazioni, le azioni e le riflessioni di chi ha contribuito al carattere rivoluzionario di quegli anni; le sfumature, le complessità, la poliedricità di interpretazioni sfuggono qualsiasi tentativo di sintesi univoca e onnicomprensiva. Vi furono però esperienze, maturate anticipatamente rispetto al corso di quegli eventi ( Don Milani morì nel 1967), che seppure nate in seno a realtà isolate e decentrate, rivelarono una forza parimenti critica alla stabilità e alla disuguaglianza del sistema sociale di allora. Queste esperienze hanno un riferimento preciso: S. Donato e Barbiana, due minuscoli paesini della provincia fiorentina in cui Don Milani creò la propria scuola. È utile precisare a riguardo che sebbene nei metodi e nei contenuti la scuola che Don Milani creò fosse laica (tanto è vero che dalla parete era stato tolto il crocifisso) le sue radici, la sua maturazione e i suoi fini crescevano nella cultura e nella psicologia di un sacerdote. Era questa innanzitutto una scuola dispensatrice di umanità, laboratorio sperimentale di una forma didattica e pedagogica nuova e particolare, che prevedeva poco tempo libero, lezioni al mattino, al pomeriggio e talvolta anche la sera. Si raggiungevano senza eccessivi lamenti circa 12 ore quotidiane sia nei giorni feriali che nei festivi: nonostante queste fatiche Don Milani non rinunciava a integrare il suo insegnamento con la lettura ai suoi studenti dei giornali, non solo per commentare assieme a loro fatti di attualità e di cronaca, ma soprattutto per stimolare in loro una coscienza e un ragionamento critico.
La scuola era concepita innanzitutto come una forma comunitaria di gestione e trasmissione del sapere, scevra da qualsiasi atteggiamento tradizionalista e repressivo dell'insegnante, deciso nell'educare alla vita. Tale scuola trasmetteva un modello di austerità ben diverso da quello vigente nelle scuole borghesi e cittadine: i ragazzi per esempio erano autorizzati a interrompere il maestro quando lo ritenevano opportuno. Mentre il movimento studentesco incominciava a mal digerire le forme coatte di insegnamento del sistema scolastico italiano, che si basava su una selezione a priori e su metodi obsoleti e coercitivi, Don Milani mostrava invece di riuscire ad elaborare un sistema di riforma dell'insegnamento che capovolgeva la norma italiana anticipando le richieste e le contestazioni degli studenti sessantottini. La sua figura, più che ad un maestro, era paragonabile a quella di un padre che tocca le corde della generosità e della sensibilità dei suoi alunni e li forma meglio rispetto alla scuola normale, ai ricreatori, alle Case del Popolo. Riconosceva il senso di crescita che i figli sapevano trasmettere, in un processo di mutualità e reciprocità non indifferente ai risultati del processo di insegnamento e apprendimento.
In una situazione in cui l'alfabetizzazione era bassissima (in special modo nelle campagne), la povertà culturale si accompagnava ad una situazione quasi fisiologica di sfruttamento ed emarginazione sociale, la selezione di classe portava i figli degli operai e dei contadini a rinunciare alla scuola per lavorare, era urgente che tali poveri si rendessero conto della subalternità della loro condizione di classe. Don Milani invitava perciò questi giovani a non perdere tempo, gli forniva una cultura, li invitava a cercare di non farsi ingannare dai richiami distraenti, dai messaggi accomodanti della televisione, delle mode, dall'integrazione borghese nella forma di un certo interclassismo, a non giustificarsi aggrappandosi a comodi alibi, ma anzi li invitava a prodigarsi nello studio, nella conoscenza, per combattere chi li discriminava e riappropriarsi di una certa coscienza di classe. Riporto qui brevemente un passo delle “Esperienze pastorali”, scritte da Don Milani stesso: “Bisogna ardere dell'ansia di elevare il povero a un livello superiore. Non dico ad un livello pari a quello dell'attuale classe dirigente. Ma superiore: più da uomo, più spirituale, più cristiano, più tutto”.
Don Milani ha anticipato per più punti il '68. Fondamentale tra questi è stata la considerazione per cui la scuola non è altro dalla società, ma vive in essa, serve ad impostare un corretto approccio alla vita sociale e politica: provocatoriamente, rispetto alla neutralità e all'aridità della scuola italiana dell'epoca, Don Milani affermava la vitalità e la caratura della scuola come laboratorio della politica, della societas. In questo senso operava in maniera complementare con quei giovani dei collettivi studenteschi che fecero esplodere la politica nelle piazze e nelle sedi universitarie, suscitando nei suoi ragazzi l'interesse verso la politica, mettendoli in guardia dalle comode storture e banalizzazioni utilizzate dalle élite e dalle classi dirigenti dell'epoca. La caratura pedagogica della sua scuola coincideva con la missione a cui le sue lezioni e il suo operare si richiamavano continuamente: Don Milani non è un semplice portatore di sapere che in quanto tale istruisce i suoi ragazzi inferendo loro conoscenze e competenze, ma si fa portavoce e interprete del loro modo di pensare ed esprimersi, dà voce agli ultimi, a chi a quel tempo veniva giudicato senza speranza e abbandonato sia dallo Stato sia dalla Chiesa.
“Lettera ad una professoressa” racconta le storie dei ragazzi di Barbiana: è un libro scritto non per gli insegnanti, ma per i genitori, è un invito ad organizzarsi, come si legge dalla prefazione. Il problema che tratta è evidentemente impellente. C'è Sandro, ragazzo di 15 anni, che i professori avevano giudicato un cretino e volevano che ripetesse la prima media per la terza volta; c'è Gianni, ragazzo di 14 anni, che sempre gli stessi professori avevano sentenziato un delinquente e che non sapeva mettere l'acca al verbo avere; poi viene Giancarlo, 15 anni, che si è occupato delle statistiche presenti nel libro, a sua volta era stato sentenziato dai medesimi professori disadatto agli studi ma che a Barbiana ‘carbura bene’. Non solo storie di ragazzi: c'è poi quella maestra che boccia 6 ragazzi, disobbedendo a quella legge che la invita a portarseli dietro per i due anni del primo ciclo: nel frattempo, dopo aver bocciato, ha dovuto correre al mare; c'è poi Pierino, figlio di buona famiglia (mica è figlio di operai o di contadini o di montanari) che non ha bisogno di fare la prima, passa direttamente in seconda, si laureerà a pieni voti e farà l'assistente universitario gratis.
“La scuola è aperta a tutti. Tutti i cittadini hanno diritto a otto anni di scuola. Tutti i cittadini sono eguali” dice l'articolo 34 della Costituzione: è indispensabile offrire a tutti un minimo di cultura, non far ripetere quattro classi due volte ognuna, tanto poi sono i figli dei ricchi ad andare avanti e i poveri a lavorare. La Costituzione è il testo di riferimento per Don Milani e i suoi ragazzi, a cui essi si richiamano non poco nella “Lettera ad una professoressa” quasi per assicurare una difesa giuridica indiscutibile ai torti e alle mancanze che lamentano di subire: i ragazzi esigono il rispetto e l'attuazione dei principi e dei diritti che sono enunciati nel testo costituzionale, lanciano un messaggio che colpisce a fondo la realtà di un Paese che, nonostante si sia dotato di un riferimento essenziale come la Costituzione, ha una scuola che di per sé è incostituzionale. Per due motivi almeno: non assicura a tutti lo stesso avanzamento nel ciclo di studi e, secondo, non offre uno scopo agli studenti. Il maestro è colui che “non ha nessun interesse culturale quando è solo”, non è il ragazzo laureato, onniconoscente, amante dello studio “matto e disperatissimo”, che conosce il latino, la matematica, la grammatica, la pedagogia: è innanzitutto colui che sa infondere nei suoi ragazzi un fine, realmente grande, ovvero dedicarsi al prossimo. Tra l'inizio e l'arrivo c'è un fine più immediato, quello di farsi intendere, saper comunicare e ascoltare, arrivando ad imparare le lingue. Si nota così l'impegno essenziale del maestro; a Don Milani non interessa che i suoi allievi di estrazione sociale inferiore siano formati alla pari di coloro i quali, appartenenti a un'altra classe sociale, competono nel mondo del lavoro attraverso titoli, diplomi, onori e quattrini. Don Milani non vuole questo. Essendo estremamente convinto che la scuola concorra a determinare o a suggellare il futuro di una persona, sa che essa deve garantire gli stimoli, deve creare quell'interesse che permette al giovane di responsabilizzarsi, di divenire in maniera autocosciente padrone della propria vita; questa è la lezione anticlassista di Don Milani: la sua scuola non mira alla conservazione delle conoscenze di una classe, mira invece al progresso delle facoltà intellettive di reazione agli stimoli sociali e comportamentali. Vengono perciò attaccati tutti quei formalismi (il voto, il registro, i libri, i programmi) attraverso cui la cultura borghese esprime la propria logica e la propria impostazione; tali formalismi devono essere invece ricusati dalla cultura subalterna. Egli propone invece nuovi strumenti di natura lessicale, linguistica, logica con cui elaborare una nuova cultura. Non offre perciò vecchi contenuti.
Si spiega così la critica milaniana verso gli intellettuali che, seppur di ispirazione di sinistra o cattolica e quindi teoricamente impegnati a difesa dei più poveri, nascevano e si rivolgevano sempre e solo ai ricchi, e anche con i poveri comunicavano sempre attraverso un linguaggio astruso, incomprensibile, artificiale. L'intellettuale, soprattutto se intende servire il popolo e ringraziarlo della possibilità di essersi dotato di una cultura (un borghese ha potuto studiare grazie anche alle tasse che operai e contadini pagano per lui), non deve creare intorno a sé un muro. Il suo parlare diviene altrimenti un autentico “bla bla bla”, e il suo schierarsi con i poveri viene smascherato come vero e proprio atteggiamento opportunista. Ecco quindi che gli studenti e gli intellettuali che si recavano in “missione” a Barbiana ricevevano un'accoglienza che li metteva alla berlina: essi subivano un vero processo alle intenzioni, venivano accusati di scarsa coerenza personale.
Contro l'intellettualismo e il formalismo acquista grande importanza la meticolosità di cui Don Milani riveste la sua pedagogia: osservare con sguardo critico, fare attenzione ai messaggi che il cinema, la radio e i moderni mezzi di comunicazione di massa propugnano, uso delle parole attento e accurato: nessuna parola deve essere mai superflua, tutte hanno un significato. La pedagogia milaniana ruota proprio attorno alla parola, che diventa (se padroneggiata) strumento di espressione per i subalterni e di superamento del livello sociale. E di contro Don Milani insegnerà ai suoi ragazzi l'arte dello scrivere, in barba a quelle maestre o a quella professoressa che diceva che scrittori si nasce, non si diventa: non scrive bene colui che si esprime in maniera difficile, comprensibile a pochi, fa del periodare contorto la propria bandiera. Bisogna avere qualcosa di importante da dire e che sia utile a tutti, sapere a chi si scrive e, soprattutto, non porsi limiti di tempo.
L'esperienza e la pratica della scuola di Don Milani proporranno tre riforme affinché l'eguaglianza, tanto conclamata a parole anche dalla Costituzione, non rimanga un mero slogan: non bocciare; dare la scuola a tempo pieno a coloro che sembrano cretini; agli svogliati uno scopo.
Ora, giunti alla fine di questo discorso, tu, lettore, magari ti aspetti da me una risposta alla classica domanda (classica e spontanea quando si discute di un personaggio di una certa caratura): come attualizzare il suo pensiero?
Non è facile trovare una risposta a questa domanda, anche perchè, molto spesso, si rischia di cadere in quegli atteggiamenti intellettualistici tanto disprezzati da don Milani. Ti posso fornire solo qualche spunto che, a mio avviso, può costituire un base di riflessione. Io credo nella Scuola e nell'Università, credo soprattutto che tali istituzioni siano decisive nell'attribuire un senso all' Educazione, all' Integrazione e alla Cittadinanza. La centralità e l'organicità di un sistema di istruzione in un Paese si rilevano in maniera precipua nella sua dinamica politica e sociale, poiché ne imposta criteri di analisi, modelli di sintesi, impianti e riferimenti valoriali. Mi chiedo allora se l' incertezza politica e civile che stiamo vivendo qui in Italia sia figlia di un problema (a questo punto più che contingente), ancora non risolto, ovvero il problema della scuola e dell'università italiane, che continuano a non fornire agli studenti un metodo cognitivo e procedurale di approccio tanto alla conoscenza quanto alla realtà, dimenticando in sostanza lo scopo per cui nacquero nel Medioevo, ovvero essere produttori di cultura. Non si può fare a meno della scuola; insegnare non è perdere tempo; chiunque deve avere la possibilità di esprimersi, anche se non sa come farlo. A coloro che se ne fregano (scusami per la volgarità, ma riporto i pensieri di chi a questa situazione non ci bada affatto) dico solo che è facile sbandierare, per esempio, un' università (o una scuola) innovativa, competitiva, selettiva, piegandosi a chi propugna questo o quell' altro precetto esteriore. Insegnate intanto la coerenza. Lasciate che siano le leggi del sapere a governare nelle facoltà e nelle scuole, insegnate a vivere, non solo ad eseguire. Mettetevi in discussione anche voi, non siate così sicuri perché vestite bene e godete di un titolo.
Non vedi cos'è l'opinione pubblica qui in Italia, che chiarire ai cittadini le questioni fondamentali per il Paese sembra essere l'ultima delle preoccupazioni?